Il Covid-19 sta mettendo a dura prova la resistenza fisica, mentale e sociale di intere nazioni. Il contagio si è diffuso molto velocemente ed in modo globale, causando una profonda crisi sanitaria e mettendo in ginocchio l’economia mondiale. Come una lente d’ingrandimento, ha evidenziato i punti deboli dell’organizzazione sociale e la vulnerabilità di molte persone. Basti pensare alle famiglie che vivono in povertà, agli anziani, ai detenuti, ai senzatetto, ai migranti e ai richiedenti asilo, alle vittime della tratta. Ciò nonostante, tra di loro, il Santo Padre riconosce: «un vero esercito invisibile che lotta nelle trincee più pericolose. Un esercito che ha come unica arma la solidarietà, la speranza e il senso della comunità che rinverdisce in questi giorni in cui nessuno si salva da solo»[1].
Entro la fine del mese di aprile, il Coronavirus avrà infettato diversi milioni di persone in tutto il mondo. Ci sta impartendo una dura lezione, pagata con l’ingente prezzo di innumerevoli vite umane. «Non possiamo permetterci di scrivere la storia presente e futura voltando le spalle alla sofferenza di tanti». La capacità di dare una risposta adeguata al dolore e alla povertà di quanti vivono da emarginati e come invisibili ci consentirà di misurare lo sviluppo autentico, integrale, sostenibile dei nostri paesi. Questa pandemia potrà essere contrastata solo con «gli anticorpi della solidarietà»[2].
Allo stesso tempo, possiamo leggere quanto stiamo vivendo con gli occhi della fede e fare nostro l’invito sempre attuale del Concilio Vaticano II, che ci sprona a tendere l’orecchio alla voce di Dio che parla attraverso gli avvenimenti e i fatti umani (Gaudium et Spes, 4). Questa attenzione alla storia, interpretata come “luogo” o topos in cui accade la salvezza, rappresenta uno dei temi cruciali nell’insegnamento di Francesco. Dall’enciclica Laudato si’ alle esortazioni apostoliche Evangelii Gaudium, Gaudete et Exsultate, Querida Amazionia, il Pontefice ci ha esortati a leggere i segni dei tempi, mostrandoci al contempo “come” farlo.
I “segni” dicono che ci troviamo dinanzi ad una sorta di bivio o di krisis. Si aprono dinanzi a noi due strade, due modi differenti di affrontare l’emergenza.
La prima consiste nella scelta di rimanere inerti, di aspettare che l’epidemia faccia il suo corso – magari ripetendo a noi stessi che prima o poi passerà – e provare solamente a non affondare nell’ampia palude dei problemi quotidiani. Si tratta di un atteggiamento di rassegnazione che si nutre del bisogno di rassicurazione ed è animato da una sorta di “logica sostitutiva”: pensiamo soltanto a come adattarci al disagio presente, trovando magari il modo di continuare a fare quello che facevamo prima senza contravvenire alle restrizioni.
L’altra strada, invece, consiste nell’accogliere questo tempo e nel coltivare attivamente un rapporto vitale con Cristo, ponendosi creativamente alla ricerca di coloro che hanno particolarmente bisogno del nostro aiuto. Abbracciare la “logica salvifica” del Vangelo vuol dire farsi carico dell’incertezza, al fine di sperimentare una rinnovata identità e missione di cristiani battezzati e di discepoli missionari. L’emergenza ci offre l’opportunità di mostrare (e di essere!) il volto bello di una Chiesa al servizio di tanti fratelli e sorelle, solidale con le loro sofferenze e aperta alle loro necessità. Una Chiesa consapevole di essere Popolo di Dio in cammino (Lumen Gentium, 9) e capace di affrontare con coraggio le sfide presenti, riponendo la propria speranza in Cristo Gesù, tanto nel tempo presente quanto per il futuro.
Le notizie che ogni giorno arrivano dai cinque continenti ci parlano di una Chiesa che si sta mobilitando su vari fronti. Molti cattolici sono fra coloro che si sono rimboccati le maniche e non hanno esitato a spendersi completamente. Le innumerevoli iniziative di carità concreta testimoniano come l’amore di Dio agisca in maniera nascosta, secondo lo spirito evangelico del lievito che fermenta tutta la pasta (Mt 13,33). Pensiamo a quanti continuano a fornire cibo, servizi essenziali, sicurezza pubblica. Pensiamo ai tanti medici ed infermieri, ai presbiteri e religiosi che, mettendo a rischio la propria vita, rimangono in prima linea e assicurano vicinanza ai malati. Donando se stessi «fino alla fine» (Gv 13,1), ci offrono una luminosa testimonianza di coerenza agli insegnamenti ed esempi di Gesù, ricordando a tutti che la cura della persona ammalata ha la precedenza su tutto. In questo momento è l’uomo nella sua interezza che soffre, e tanti hanno bisogno di guarigione. Per questo motivo anche la preghiera, che tutti possono provare ad offrire, risulta indispensabile.
In queste condizioni eccezionali, in questo tempo “sospeso”, che ha imposto a tutti di rallentare, siamo stati costretti a ridurre i nostri ritmi frenetici, a cambiare le nostre abitudini, a inventarci nuove percezioni, criteri e risposte.
La quarantena ci ha strappati alla nostra consueta trama di relazioni e per molti la solitudine ha rappresentato una scomoda sorpresa. Il crescente numero di decessi ha causato un profondo turbamento in coloro che non si erano mai posti realmente di fronte al mistero della propria morte.
Dovendo fare i conti con se stessi e con la propria vita interiore, o magari perché alla ricerca di conforto e di rassicurazione, o perché si sono riscoperte le tradizioni in cui era stati educati, molti hanno avvertito il bisogno di mettersi alla ricerca di Dio. Si tratta di una svolta innovativa in un’epoca in cui il progresso tecno-scientifico può allontanare le persone dalla religione.
E quando ci si mette alla ricerca di Dio, un passo importante è dato proprio dall’intraprendere una seria revisione di vita. Le certezze su cui si è edificata la propria esistenza possono ora apparire traballanti, e ciò lascia emergere delle scottanti domande di “senso”: per cosa ho vissuto? Per cosa vivo? Sarò capace di andare oltre me stesso? La fede, che riesce a scuotere la “comodità” in cui vive l’uomo di oggi, può aiutare queste domande ad affiorare lentamente, mentre Dio è sempre pronto a darvi risposta.
I mezzi di comunicazione possono rappresentare una grande risorsa nel dare il benvenuto a questi “nuovi cercatori”, come anche nel favorire un riavvicinamento in coloro che si era allontanato dalla Chiesa. Forse quanti oggi non avrebbero il coraggio di varcare la soglia di una chiesa, possono approfittare delle numerose opportunità offerte dalla rete o dai social media: ascoltare la Parola di Dio proclamata e insegnata; conoscere meglio i contenuti del Credo; unirsi al Santo Padre per un’ora di adorazione in una Piazza di S. Pietro drammaticamente vuota; o «visitare» virtualmente la chiesa parrocchiale del proprio quartiere.
Naturalmente, questa vasta offerta viene anche incontro ai numerosi fedeli che sentono molto la mancanza del radunarsi in Chiesa e che ora prendono parte alle celebrazioni e ai riti seguendoli da casa.
In questo momento le previsioni servono a poco, perché sono troppe le variabili in gioco, ma abbracciando il presente e guidati dallo Spirito Santo, possiamo discernere ciò che è essenziale: «È il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri»[3].
Card. Michael Czerny S.I.
Città Vaticana, aprile 2020