Condividiamo con voi il testo dell'intervento di Mons Bruno-Marie Duffé, Segretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale.
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Nella sua Esortazione Apostolica «Christus vivit», seguita al Sinodo dei Vescovi sui giovani, la vocazione e il discernimento, il Santo Padre rievoca la testimonianza di un giovane uditore del Sinodo stesso, proveniente dalle Isole Samoa.
Questo giovane, dice il Santo Padre, parla della Chiesa come di una «canoa, in cui gli anziani aiutano a mantenere la rotta interpretando la posizione delle stelle e i giovani remano con forza immaginando ciò che li attende più in là» (Christus vivit, 201).
Questo bellissimo paragone della Chiesa come canoa può essere applicato anche alla società. Infatti, se, avanzando lungo il fiume spesso tumultuoso della nostra storia, perdiamo i consigli degli anziani, rischiamo di perdere la memoria. E perdendo la memoria, perdiamo anche la speranza (cfr. il libro «La saggezza del tempo - in dialogo con Papa Francesco sulle grandi questioni della vita» – a cura di Antonio Spadaro, Venezia, 2018) (Christus vivit, 196).
Gli anziani sono la nostra memoria e, di conseguenza, sono, paradossalmente, la nostra speranza. Se ci basiamo sulla loro esperienza e sulle loro scoperte, possiamo continuare l'avventura della storia umana. Infatti, con la memoria, la speranza è possibile. Il paradosso è, dunque, questo: gli anziani sono sempre un passo avanti. Hanno già attraversato i luoghi che stiamo attraversando noi e possono dirci cosa produrranno certe esperienze che viviamo per la prima volta.
È evidente che ciascuno deve percorrere il proprio cammino, perché, come dice sant'Agostino, «il sentiero esiste solo perché tu lo percorri». Il cammino è, dunque, la parabola dell'esistenza umana, ma non siamo mai soli lungo la strada: gli anziani possono consigliarci e i più giovani possono incoraggiarci.
La cultura tecnicista, che pone al centro del pensiero e della vita l’efficacia immediata, ci porta spesso ad abbandonare gli anziani, a considerarli meno «produttivi». Del resto, ci sono aziende industriali nelle quali a cinquant'anni si è considerati anziani e, talvolta, si è perfino licenziati, a beneficio di persone più giovani, più «aggressive»... L'individualismo, che Papa Francesco, nella sua ultima enciclica «Fratelli tutti», considera il pensiero di un mondo chiuso ed egocentrico, fa parte di questa cultura in cui non c’è bisogno degli altri: non c'è bisogno degli anziani, non c'è bisogno di chi va più piano. In questa cultura, gli anziani sono, per definizione, «persone ormai al capolinea».
Da ciò una duplice conseguenza: gli anziani, che non partecipano più direttamente ai processi di produzione economica, non sono più considerati una priorità nella nostra società. E, nel contesto dell'attuale epidemia, sono presi in carico dopo gli altri, dopo le persone «produttive», anche se sono più fragili. L'ordine di accesso alle cure di emergenza ha dimostrato, più di una volta, che non hanno potuto beneficiare delle terapie di supporto vitale. L'altro aspetto di questa stessa conseguenza è la rottura del legame tra le generazioni: bambini e giovani non possono più incontrare gli anziani, tenuti in stretto confinamento. Questo a volte porta a veri e propri disturbi psichici in alcuni bambini o giovani che hanno bisogno di stare con i loro nonni, così come i nonni hanno bisogno di stare con i loro nipoti, altrimenti moriranno di un altro virus: il dolore.
Possiamo, dunque, affermare che l’emergenza sanitaria ha portato alla luce una componente importante della relazione sociale. La capacità di raccogliere la sfida della vita - le sue incognite e le sue gioie - si basa, in parte, sull'ispirazione, propria del dialogo tra generazioni: un dialogo che può essere fatto di parole o di silenzio, del disegno offerto da un bambino, che ancora fa sognare l’anziano, o dalla tenerezza dei loro sguardi, che si incrociano e si incoraggiano a vicenda.
Il sogno e la tenerezza: ecco di cosa si tratta. Se gli anziani continuano a sognare, i più giovani possono continuare a inventare. Se lo sguardo dell'anziano incoraggia dolcemente i progetti del più giovane, entrambi vivranno nella speranza che supera le paure. Allora la parola del profeta Gioele potrà adempiersi: «diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie e i vostri anziani faranno sogni». Tutti quegli educatori e pastori che hanno fatto sì che i bambini incontrassero gli anziani, sanno che quei bambini non hanno mai dimenticato quell’incontro: ... con un contadino, un pescatore, un artista, un inventore, un mendicante di strada o un religioso nel suo monastero. L’anziano, del resto, non ha che una cosa da fare: offrire ciò che ha scoperto della vita, in modo che il bambino sperimenti ancora - e sempre - il desiderio di scoprire e inventare la vita.
Cosa ci rimarrà di questa terribile esperienza di una malattia che ha colpito tutte le età e tutti i popoli? Alcuni, avendo sperimentato la sofferenza della separazione, reimparano, all'interno della famiglia, il vincolo dell'ascolto e della cura tra generazioni. Altri conservano dentro di sé, in intimo silenzio e con tristezza, uno sguardo e il rimpianto di non aver parlato più con chi se n'è andato. Comprendiamo tutti che gli anziani ci offrono la loro memoria, a partire dalla «fragilità dei vasi d'argilla» - come suggerisce l'Apostolo Paolo. Nel tesoro della memoria c'è davvero la fede, ricevuta e offerta: quel gusto della vita eterna che è già iniziata. Per questo, le generazioni, dandosi la mano, in un gesto di affetto condiviso, si offrono reciprocamente saperi e sogni: una speranza che non può morire perché è dono di Dio.